[Exibart 18 febbraio 2016]
Il tema della città è un tema ampio, tornato prepotentemente alla ribalta ai nostri giorni, per le sue implicazioni socio-antropologiche e politiche, non ultimo lo spiazzamento operato su più fronti dalla pressione ineludibile dei flussi migratori.
In Italia, negli anni settanta, i centri urbani furono motivo d'interessi di numerosi gruppi di artisti e di singoli “operatori sociali” (come li definiva Enrico Crispolti) i quali portarono a maturazione, con interventi e performance urbane, il tema del rapporto che intercorre tra l'individuo e il tessuto metropolitano e le sue periferie, mettendo in evidenza le contraddizioni urbanistiche e politiche, contrapponendo ad esse interessanti proposte artistiche. La creatività di questi gruppi, messa al servizio di uno spirito critico e di una volontà propositiva, tendeva in prima istanza alla chiarificazione del senso della dimensione sociale. Le radici di queste volontà performative filtravano, in parte, ancora gli umori del precedente decennio, in particolare risentivano dell'onda lunga del clima culturale ed artistico situazionista di Debord e compagni.
Come sempre, dunque, la città si presenta come campo di battaglia, in cui per primo potenzialmente si opera la trasformazione sociale e politica. Le coscienze più avvedute di oggi, infatti, sono orientate a pensare che innanzitutto la trasformazione sociale può avvenire sopratutto attraverso il risveglio del soggetto, che nella polis vive ed agisce. Per avviare un simile processo non esistono ricette, ovviamente, tranne quelle attualissime e bellissime – per stare al gioco di Giulio Calegari - che con le sue “Ricette atmosferiche: una guida situazionista di Milano”, uscito per i tipi di Sedizioni editore, lancia un sasso colorato di ironica poesia contro i sensi assopiti dei milanesi.
Artista a tutto campo, da anni responsabile della Sezione di Paletnologia del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, Calegari, è esperto in Arte Rupestre e Etnoarcheologia. Si muove tra l'ambito artistico e scientifico con invidiabile disinvoltura. Da tempo ci ha abituato alle pratiche degli sconfinamenti, introducendo la metodologia artistica performativa nei convegni scientifici ai quali è di frequente invitato, spiazzando il pubblico e gli addetti ai lavori con azioni che aprono alla dimensione dell'immaginario, sostenendo l'importanza dei dati invisibili, che possono – a suo avviso - essere rievocati, come il gesto e il suono prodotto dalla scheggiatura di una selce preistorica. Le sue Ricette atmosferiche potrebbero essere ascritte nella prospettiva di una Nuova Bauhaus immaginista, in cui il soggetto che vive la città recupera séstesso, devolvendo il suo tempo libero (potenziale rivoluzionario, secondo i situazionisti) alla conoscenza affettiva della città, attraverso una performatività immaginaria, (non lontana da concreta operatività) come poeticamente suggerisce l'autore. Se i situazionisti inventavano Giochi, Calegari, raccogliendone l'istanza, con le sue “Ricette” ne crea altri, consapevole, ad esempio, che il passato della città è concetto ambiguo se inquadrato nell'ottica positivista che tende a classificare, tassonomizzare e museificare i dati e i reperti. Con i “suggerimenti” di Calegari si è invece invitati di continuo a mettersi in gioco, ad essere artisti come i Fluxus, avvalendosi di tutti i mezzi per riappropriarsi di quelle infinite sfumature, particolari, angoli, architetture e comportamenti urbani che di fatto sfuggono inesorabilmente alla nostra percezione quotidiana. La psicogeografia situazionista di Calegari riattiva le facoltà assopite della nostra coscienza denunciando, con raffinata ironia, le nostre ataviche mancanze di cittadini affaccendati. I suoi suggerimenti sarebbero piaciuti a Giovanni Raboni, ma anche a Marcel Proust, entrambi consapevoli che il presente e il passato potevano appiattirsi su uno schema mentale, togliendo spessore alla relazione identitaria, sottile ed intima, che instauriamo con la polis.
Nella ricetta “Frollato ma fresco, difficoltà: minima. Ingredienti e utensili:blocco per appunti; macchina fotografica” così scrive Calegari. “Nel sottosuolo della Città mancano le tracce della più antica preistoria. Le vicende glaciali delle ultime decine di migliaia di anni hanno, nella migliore delle ipotesi, cancellato o nascosto reperti. Va detto che capita, ogni tanto, ma è cosa eccezionale, di veder far capolino tra le ghiaie di cave o cantieri, qualche osso fossilizzato o zanna di antico elefante del Quaternario. Ma è cosa assai rara. Pazienza! Se però vi manca, sotto i piedi, questo antico passato, costruitevelo!C'è sempre qualche scavo, per una nuova linea della metropolitana o trincee sui marciapiedi per la posa o manutenzione di cavi e tubazioni. Buttateci l'occhio, appassionatamente, e cercate di cogliervi, con la fantasia, stratigrafie pleistoceniche; immaginatevi manufatti d'osso e di pietra scheggiata: punte, lame, bifacciali... e ossa, crani. Potete vederci anche il Neandertal, se vi fa piacere e se avete buona fantasia. E tante altre cose, antichissime...”
Un bell'invito ad “abbandonarsi alla reverie”, quello di Calegari – come sottolinea Elisabetta Longari nella postfazione - bisogna saper stare al gioco, come quando anni addietro sull'asfalto di alcune strade del centro di Milano Carlo Torrighelli, writer ante-litteram, conosciuto come C.T. sorprendeva tutti con le sue scritte tra l'apodittico e il profetico, ancor prima di Jenny Holzer e i suoi Truism.