Recensioni

Maurizio Calvesi
Avanguardia di massa. Compaiono gli indiani metropolitani
Postmediabooks, 2018 - ISBN 9788874902118

[Exibart 23 novembre 2018]

Esattamente un secolo fa, 1918, i futuristi russi Majakovskij, Kamenskij e Burliuk firmavano il ‘Decreto n.1 sulla democratizzazione delle arti’. “La libera parola della personalità creatrice venga scritta sulle cantonate dei palazzi, agli incroci degli steccati, dei tetti, delle vie delle nostre città e dei nostri villaggi, sui dorsi delle automobili, delle carrozze, dei tram e degli abiti di tutti i cittadini… Come radiosi arcobaleni, da un edificio all’altro, nelle vie e nelle piazze, si stendano quadri colorati che rallegrino e nobilitino l’occhio. Pittori e scultori devono prendere subito vasetti con dentro i colori e i pennelli della loro arte per creare, per dipingere tutti i fianchi, le fronti, i petti delle città, delle stazioni e degli stormi dei vagoni ferroviari in corsa perenne”.
Una citazione, quest’ultima, tra le tante, che Maurizio Calvesi riportò all’interno del suo noto saggio del 1978; quell’ “Avanguardia di massa” che raccoglieva un nutrito numero di scritti pubblicato da Feltrinelli. Oggi, con avveduta accortezza ne viene riproposta una selezione, per i tipi di Postmedia Book, su lucida ispirazione della Fondazione Echaurren Salaris che per statuto ha lo scopo di diffondere lo studio dell’arte e della cultura visiva del XX e XXI secolo, in particolare le prime avanguardie, le neoavanguardie e, soprattutto, la controcultura italiana internazionale.
E dunque, il saggio ripubblicato di Calvesi, si inserisce perfettamente in un momento in cui l’attenzione critica agli anni Settanta sta riscuotendo un effettivo e nuovo interesse da parte di atenei e critici d’arte, laureandi e autonomi ricercatori; in particolare per quei movimenti, collettivi e spinte verso il ‘sociale’ che, di quest’ultimo, ne hanno fatto un tema portante per la loro operatività. L’ultimo convegno, per fare un esempio, “Italia anni Settanta: gruppi, collettivi d’artista, spazi autogestiti nel decennio della contestazione” curato con grazia e accuratezza scientifica da Lucilla Meloni, si è tenuto dal 8 al 10 novembre al Macro Asilo di Roma.
Calvesi si sofferma sui movimenti della controcultura analizzando le proposte e gli esiti dei gruppi studenteschi, degli indiani metropolitani, delle riviste di quel decennio come OASK, FUOCO, WAM (supplemento di Ombre Rosse), gli scritti di Bifo (Franco Berardi) in A/traverso supplemento di stampa alternativa, sulle argute analisi di Fausto Curi, Umberto Eco, Christopher Wagstaff. Anni Settanta, quindi: quel decennio che, andrebbe sottolineato, non va ricordato soltanto per i tragici eventi legati agli inestricabili intrecci politici, per il piombo caldo delle P38, per le bombe di Ordine Nuovo e per la strage di Piazza della Loggia a Brescia, ma anche per le novità e le proposte dei gruppi alternativi e per le proteste, le urla dei giovani del ’77, per le ‘follie’ degli indiani metropolitani e per tutti quegli artisti che si sono schierati contro la concezione del potere come repressione e annullamento delle libertà individuali e collettive. Maurizio Calvesi ne analizzò la lingua, i modi con cui i giovani si alzarono in piedi per esprimere ed affermare il loro punto di vista: testi, scritte, immagini e quanto altro. Come è noto, la tesi di fondo dell’autore di ‘Avanguardia di massa’, si articola sull’idea che tra il linguaggio delle giovani generazioni in protesta negli anni Settanta, e le avanguardie storiche, ci sia stato un nesso, un ganglio vitale; che però le avanguardie furono prese a modello, ma nello stesso tempo negate. Come dire che l’area bolognese del ‘movimento’ non fu priva di contraddizioni, che tra la massa di giovani bisognava distinguere all’interno tra “echeggiatori e portatori ‘colti’ e consapevoli di ideologemi o slogan avanguardistici”.
Insomma, la gestione del politico e dell’estetico non fu cosa semplice. Marinetti, - sottolineava Calvesi -, con perfetta tempistica, aveva compreso esattamente dove sarebbe andato a dirigersi il treno della storia: l’importanza dei mezzi di comunicazione di massa, l’intrico tra consumismo e rivoluzione, il linguaggio rapido delle parole in libertà e conseguente distruzione della sintassi, gli slogan; ma anche l’equazione arte-mercato, consumo e aggiornamento continuo, l’ironia e il sarcasmo. Così i “No alla violenza armata ma sì ad una grossa risata” scritto dagli Indiani in città echeggiano le parole del Palazzeschi nel manifesto Controdolore. Ma i collegamenti linguistici del ‘movimento’ sono riconducibili non soltanto al futurismo, pur anche al dada-surrealismo. La spinta a rompere le separazioni concettuali e operative tra arte e vita, è vettore di continue contraddizioni. Non a caso Calvesi riporta le parole di Fausto Curti (Perdita d’aureola, Einaudi, Torino 1977) proprio su questo punto: “Contraddizioni o, come qualcuno ha scritto, ‘aporie’ dell’avanguardia? Soltanto chi si ostini in una visione stolidamente antidialettica può non aver capito che nella misura in cui l’arte d’avanguardia è strutturalmente collegata per contraddizione con la borghesia, la contraddizione è il fondamento stesso dell’arte d’avanguardia”.
Dei tanti capitoli del volume originario ne vengono riproposti tre: Avanguardia di massa, Kassel o gli indiani e, Vent’anni dopo; una riflessione, quest’ultima, – puntualizza Raffaella Perna in postfazione – operata da Calvesi “a vent’anni di distanza dai primi due, in occasione della mostra ‘Oltreconfine. Indiani metropolitani, maodadaisti e altri avventuristi a Roma’, tenutasi nel 1998 presso il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università ‘La Sapienza’, diretto all’epoca dallo stesso Calvesi… Nell’ambito della mostra Calvesi riconosce il ruolo cruciale di Pablo Echaurren ( non firmava i fogli) nella creazione dell’immaginario visivo del ’77: “Ora sappiamo che autore di gran parte dei materiali grafici pubblicati sulle riviste soprattutto romane del “movimento” era un artista: Pablo Echaurren”.


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