[Exibart 3 novembre 2017]
Annamaria Gelmi s'immette sui sentieri della conoscenza con “rigore e passione nella misura del mondo”, come recita il sottotitolo della sua splendida monografia curata da Katia Fortarel per le edizioni Wasabi book-makers.
I primi due sostantivi del sottotitolo – sempre più difficili da rintracciare nel panorama artistico odierno – costituiscono i prerequisiti essenziali per una ricerca artistica degna di questo nome, nonché le condizioni psicologiche e spirituali per amministrare la tensione verso la conoscenza. Katia Fortarel ripercorre, con altrettanta passione e rigore scientifico, le tappe che hanno contraddistinto l'operato di una artista che continua a lasciare il segno all'interno del panorama artistico internazionale.
E dunque nel libro si parla del processo artistico, di quel lungo cammino che porta l'artefice a connettersi con la parte più profonda di sé, vale a dire quel coacervo di elementi intrecciati tra la vita ordinaria, oscillante tra incertezza e desiderio di dominio, e la vita spirituale che illimpidisce il vissuto portandolo su un piano di conoscenza. Così l'arte vissuta con rigore e passione si trasforma in una via regia per la “misura del mondo”.
Volendo citare un vecchio adagio possiamo dire che “un sentiero lo si fa percorrendolo” e aggiungere che in arte il percorso non è mai lineare. Tempo e spazio sono i binari della nostra esistenza fenomenologica, la nostra umana esistenza, sempre a rischio di governabilità, alla conquista di assi portanti che diano sicurezza e ordine al non senso e all'informe. Portare ordine nel caos vuol dire operare in senso costruttivo per sé e per gli altri. In tal senso va interpretato il riferimento al Costruttivismo operato da Annamaria Gelmi in differenti tappe del suo percorso.
Già dalle prime pagine del libro emerge l'orientamento dell'artista, tutta tesa ad un incessante dialogo con diversi materiali: dalle prime pitture su legno, al plexiglas, all'acetato, alla china, alla carta di seta giapponese, alla tela, all'acciaio, al bronzo; ognuno scandisce una ben precisa tappa temporale e spirituale.
Il dialogo con la materia sottende agli interrogativi più profondi, ma l'artista sa che a un certo punto è il materiale stesso adottato che “detta le forme, e non l'opposto” - come ebbe a scrivere il critico Nicolaj Tarabukin nel 1916 per definire il Costruttivismo. In opere come “Figura” del 1973 (Fig. 3.7) il titolo è puramente indicativo. Il processo di stilizzazione si presenta come un benefico lavacro dalle preoccupazioni mimetiche e naturalistiche. Avanza la pura fenomenologia della forma: aperture ed approdi in direzione di universi compiuti, carichi di essenzialità. L'opera trova la sua ragion d'essere nella grazia della materia plasmata, quasi seconda natura o realtà parallela. Non si appoggia più sull'ideologia o sulla “letteratura” - avrebbe detto Cèzanne - ma vive di forza propria, della sua interna grammatica. E in Gelmi la sintassi del suo plasmare e disegnare – specialmente nella seconda metà degli anni settanta - si sviluppa sulle dolci ali della geometria. L'eterno, ancestrale tema dell'armonia si fa strada, e si fa “musicale”; tensioni auree, se si vuole, almeno intese come desiderio di porre fine al caos. Allora il ritmo s'impone come principio regolatore della vita, come elemento prezioso. Si guardino gli splendidi “Ritmi-Ombre” delle chine su acetato del 1976-77-78. Una geometria generativa, quella della Gelmi, che nasce dalla accettazione senza se e senza ma della griglia cartesiana.
Eppure c'è un OLTRE, nell'umana esistenza, che non può essere unicamente racchiuso o contenuto nelle forme, talvolta algide, della geometria. Avanzando nella sua ricerca artistica Annamaria Gelmi sembra suggerirci che accanto al pensiero razionale si pone quello mistico-metafisico. Dallo spazio fisico e misurabile, allo spazio interiore come nell'opera “Attraverso l'infinito del cielo” del 1984. L'eterea sostanza del noetico si sposa con l'impalpabile presenza dei pigmenti. Pare dunque che l'artista nel suo lungo cammino viva proprio l'antitesi tra il fuori e il dentro, tra il concreto (il qui ed ora della materia) e la dimensione impalpabile della coscienza evocata dalle trasparenti velature degli acquerelli su carta di seta giapponese, successivamente intelata. Tutto ciò in apparente contraddizione con la fase precedente, se non fosse che la geometria predispone più di ogni altra cosa alla metafisica che si struttura di altre coerenze, di un altro modo di sentire e pensare. Una nuova apertura, quindi, che implica la dimensione dell'intuizione attraverso la presenza del colore che l'artista sperimenta su tela e su carta di seta giapponese. Il suo, a un tratto, è un viaggio iniziatico, mistico-metafisico, retto dalla presenza costante del disegno, dall'interesse per l'architettura che rimane il principio regolatore dell'organizzazione formale di tutte le opere. Le sue grandi sculture negli spazi aperti e chiusi ne sono una limpida testimonianza. Attraverso i temi della croce, dei labirinti, delle porte e perimetri l'artista sperimenta il passaggio più delicato che si possa compiere nel percorso esoterico dell'arte: vale a dire la tramutazione del reale e del mondo interiore in simbolo. Per compierlo bisogna portarsi oltre la soglia che “altro non è - come afferma il filosofo Franco Rella citato da Katia Fortarel - che il limite tra il mondo sensibile e quello spirituale”.