Recensioni

Elio Grazioli
Infrasottile. L’arte contemporanea ai limiti
Postmediabook, 2018 - ISBN 9788874901999

[Exibart 4 maggio 2018]

La stagione interpretativa del readymade e dintorni è terminata? Chi l’ha pensato, anche per una sola volta, si sbaglia
Elio Grazioli, infatti, gioca a rilancio e riapre argutamente la questione, partendo proprio dalla nozione duchampiana di 'inframince', 'infrasottile', che per l'appunto da titolo al suo ultimo libro edito da Postmediabooks.
L'infrasottile ci viene indicato come “la capacità dell'artista di spingersi all'estremo della percezione per vedere e mostrare diversamente la realtà. Essa indica – come suggerisce il sottotitolo del saggio – una presenza al limite, un possibile ma reale, o una compresenza di due stati che si “sposano” - come sosteneva Duchamp - “dando vita a un terzo tutto da cogliere”. Un particolare stato limite di coscienza che, per l’artista, si traduce in una ricerca di modalità interpretative del reale; quest’ultimo colto negli aspetti più fuggevoli o paradossalmente invisibili, e restituiti nel correlativo materico di sostanze come fumo, vapore, vetro, polvere; o in fenomeni come l’ombra, l’odore, il sussurro, la trasparenza, il loop di un video, il rallenty portato all’estremo, ecc.
Si parte quindi dalla piattaforma duchampiana per individuare un possibile filo rosso che l'autore dipana fino a giungere ai nostri ultimi decenni con l’analisi delle opere di artisti come Aurelio Andrighetto, Giovanni Oberti, Gianluca Codeghini, Marina Ballo Charmet, per fare alcuni nomi, passando naturalmente in rassegna tanti altri che del 'principio ideativo' duchampiano hanno saputo cogliere il lato intrigante e fruttuoso. Per suggerire un’immagine potremmo dire che dalla  ricerca messa in luce da Grazioli, - docente di Storia dell’arte contemporanea all’Università degli Studi e all’Accademia di Belle Arti di Bergamo -, emerge l'eterna alchimia della coscienza, che sperimenta se stessa, per tentare di afferrare il suo insondabile mistero, attraverso le strategie e gli strumenti dell'arte. Dunque, si evince che la ‘realtà’ la si va facendo, come in un crogiolo alchemico, appunto, anche con la pratica dell’arte, che per sua forza interna annulla l’acquiescenza dello sguardo positivista, allarga gli orizzonti del pensiero, ma anche quelli della sensibilità, del pathos, dell''empatia', che pare essere proprio uno dei capitoli del libro più interessanti. Non a caso Grazioli si sofferma sul pensiero di Jörg Heiser (direttore all'Università delle arti di Berlino) citando la sua Romantic Conceptualism, famosa mostra del 2007 alla Kunsthalle di Nürberg, in cui teorizzò la presenza di un aspetto “romantico” all'interno delle opere concettuali; il che non sorprende, se col dovuto distacco, si considera il fatto che la coscienza sviluppa se stessa in una ritmica alternanza di apertura e rottura delle forme, finanche di civiltà, (oltre i limiti storici e culturali, a cui si può dare il nome di romantico) e il bisogno di chiudere, seppure provvisoriamente, un universo di pensiero e sensibilità in una forma ben definita tendente alla unitarietà e totalità (che si può definire classica). Una riconsiderazione pure delle ‘emozioni’, - ci dice Jörg Heiser -, che sembravano essere state accompagnate alla porta dal minimalismo ortodosso, caratterizzato dal distacco emozionale, teso all’antisoggettività e alla freddezza -, ma che Jörg Heiser individua e giustifica all'interno di una “rivendicazione della totalità dell'esperienza estetica, in opposizione a una concezione sistematica e razionalistica della ragione”. Sottolineatura, quest’ultima, che a noi pare tuttora interessante poiché irrora di buona linfa un nuovo paradigma, libero da polarizzazioni eccessive, aperto verso un orizzonte più onnicomprensivo dello sviluppo umano e creativo e che - raccoltene il testimone - pare proprio rientrare nell’interesse di molti artisti di oggi. Potremmo definirli impulsi preziosi che vengono dal passato prossimo. Si pensi, infatti, alle ‘sofferenze’ di Bas Jan Ader – sottolinea Grazioli – iniziate già nei primi anni settanta, che emergono dai due minuti e dodici secondi del celebre video I’m Too Sad Tell You, in cui l’artista scoppia in lacrime senza poter emettere una sillaba. Metafora dei limiti del ‘concetto’, del dire, rispetto al sentire che s’ iscrive nella prospettiva di un ‘oltre’, (forse di un possibile dire poetico, di hölderliniana memoria o, appunto, di un tacere necessario, per dirla con Wittgenstein). Così pure ‘La mia ombra verso l’infinito dalla cima dello Stromboli durante l’alba del 16 agosto 1965’ di Giovanni Anselmo, nella sua versione ‘sublime’ ma ‘rovesciata’ del classico Caspar David Friedrich.
E quindi, come si diceva, per cogliere o dar corpo all’inframince occorre abbandonare le strettoie del campo specifico del modernismo come l’intendeva Greenberg, e contemplare le possibilità offerte da un campo allargato – sottolinea Grazioli citando Rosalind Krauss – in cui il medium non è dato ab aeterno, una volta per tutto, ma reinventato di volta in volta e messo a fuoco in vista del balzo da compiere. Esso costituisce – argomenta da tempo la fondatrice di October – “la regola che serve per riprendere lo slancio, come il bordo della piscina per il nuotatore”. O come affermava Luciano Berio – aggiungiamo noi – alla fine degli anni sessanta a proposito della musica seriale e del pensiero seriale, l’artista-musicista s’immette nella complessità e molteplicità del reale per captare e “legare gli elementi in modo nuovo, per scoprirli al di fuori di una concezione prestabilita del linguaggio”.
E con ciò non facciamo altro che rimarcare le cornici di riferimento del paradigma della nostra era postmediale, i cui prodomi, come si è visto, risalgono agli albori del secolo breve grazie al grande artista francese che, nel gustare infrasottilmente il fumo della sua pipa, amava meditare sul tempo davanti ad una scacchiera.
La disamina compiuta da Elio Grazioli si apre a ventaglio, mostrandoci che le modalità operative messe in campo dagli artisti che si spingono al limite sono pressoché illimitate, alcune molto interessanti come nel caso della fotografia, o di operazioni appunto all’estremo (Tomo Savic-Gecan, Bruce Nauman, Mike Bidlo, Douglas Gordon).


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