[Exibart 20 novembre 2012]
La crisi che investe l'arte contemporanea tocca le sue radici profonde. È come se la stella dell'arte avesse perso la coesione del suo nucleo interno.
Siamo spettatori di un processo entropico, di dissipazione di energie, simile all'esplosione di una supernova che, collassando, spande tutto intorno una miriade di opere, analoghe – per rimanere nell'esempio – ai detriti e alle polveri siderali.
Da questa prospettiva il vitalismo del mercato dell'arte apparirebbe più come il sintomo di un declino che la manifestazione di una energia radiosa.
Da tempo, infatti, si son levate le voci autorevoli della riflessione filosofica, asserendo che le poste in gioco della modernità e, oggi, della postmodernità, hanno ormai trovato la loro fine.
Come interpretare, dunque, il nostro tempo e collocarsi al suo interno?
C'è chi asserisce che per la lettura di siffatta nebulosa artistica il modello del tempo lineare, con cui inquadrare i fenomeni, è il meno indicato e, invece, più consono quello del tempo circolare, prossimo all'eterno ritorno nietzschiano.
Tale è la posizione in campo di Nicola Vitale che, allacciandosi alla Nascita della Tragedia di Nietzsche (nonché ai preziosi riferimenti di Heidegger, Kandinskij, Zolla, Eliade, Florenskij) individua nelle categorie di apollineo e dionisiaco – intese come componenti profonde della ciclica dinamica della coscienza – il ganglio essenziale, vitale, per l'appunto, per la rinascita del nostro presente artistico.
Con “Figura Solare. Un rinnovamento radicale dell'arte, inizio di un'epoca dell'essere.”2011, edizione Marietti 1820 (pag. 334 euro 25) l'autore compie un interessante excursus all'interno delle epoche artistiche per approdare sulle rive del mare magnum dell'arte contemporanea.
Nel suo viaggio, Nicola Vitale pone l'accento sugli albori delle civiltà, in cui l'arte, generata dal suo nucleo, manifesta il massimo splendore e la sua essenza primigenia:quella dimensione profonda che la contemporaneità sembrerebbe aver smarrita, sedotta dai trionfi del concetto, che a partire da Duchamp e dai suoi discendenti, ha spinto, unilateralmente, l'arte sui sentieri della decadenza. Questa polarizzazione della coscienza – sostiene l'autore di Figura Solare – ha generato una scissione del nucleo originario, formato dalla dinamica di apollineo e dionisiaco, instaurando nel contempo una pratica dell'arte voltaossessivamentealla ricerca del nuovo linguaggio, alla elaborazione dei codici, con esiti, talvolta, eccessivamente criptici, autoreferenziali, o con sbilanciamenti sugli aridi sentieri del solipsismo; se non addirittura alle lacerazioni più drammatiche. E' come se – sottolinea Vitale – questa pratica avesse allontanato l'artista da sé stesso e da un'arte basata sull'istinto di reintegrazione: cioè quella tensione alla pienezza dell'essere, in cui l'elemento analitico è sì presente, ma come una tra le tante componenti che entrano in gioco nel processo artistico e che può fondersi magnificamente con l'irrinunciabile dimensione del ritmo, con la dimensione spirituale del colore, con la limpidezza della forma compiuta guidata dai principi di proporzione ed armonia che stemperano la forza irruente del dionisiaco.
Emerge da Figura Solare la preziosa indicazione per una coltivazione di una sensibilità profonda andata smarrita che – come più volte ha affermato Edgar Morin – non vuole rinunciare a nulla della dimensione complessiva dell'umano.
Pittore e poeta (ultima raccolta Condominio delle sorprese, Mondadori), Vitale porta avanti un processo filosofico ed artistico per avviare un giro di boa, un radicale cambio di ottica, per ripescare ciò che ormai non si percepisce più come necessità frastornati dalle esigenze degli attuali trend del mercato planetario.
Per ritornare a volare, suggerisce l'autore nell'efficace similitudine degli aerei in volo,la strada maestra è la pittura, improntata alla ricerca dell'essenza, a quell'elemento eterno che fa risplendere le opere al di là delle contingenze storiche. Nessuna fuga dal tempo storico, ci avverte Vitale: al contrario, si parte da esso, addirittura dalle cose più banali, per trasformarle alchemicamente e portarle sul piano eterno e atemporale dell'arte che assume un carattere quasi fisiologico attraverso una pratica intesa come reintegrazione della coscienza scissa.
“Io non svaluto l'arte contemporanea – risponde Vitale – ma la pongo in una precisa fase del ciclo storico, nel nodo drammatico di una contraddizione che implica tutta la cultura occidentale, qualcosa che credo si sia ormai esaurito, per passare a una nuova fase di sintesi, di rinascita spirituale non solo dell'arte ma dell'uomo, che è il tema del mio libro.”
Nel libro si parla quindi di un rinnovamento radicale dell'arte, e non solo, i riferimenti sono rivolti nella direzione di un'epoca dell'essere.
L'autore ipotizza la lettura di un'altra possibile storia dell'arte, fuori dagli schemi consolidati, e individua i molteplici limiti dei vari movimenti artistici, dei mezzi espressivi tecnologici, i limiti della postmodernità; così come i limiti dei concetti di mito, di realismo, di sublime. Per contro l'autore propone un rinnovato approccio ai concetti di Tradizione (con esplicito riferimento ad Elemire Zolla) e innovazione. Individua in E. Hopper e Balthus i precursori di un inedito orientamento espressivo, teso – sostiene Vitale – a conciliare “elementi che sono diventati incompatibili, come ad esempio sentimento e razionalità, sessualità ed innocenza, solitudine e pienezza; e sul piano pittorico: astrazione e figurazione, sensualità della materia e struttura metafisica del disegno.”
Vitale sottolinea i rischi di una lettura storicistica applicata a questi autori; rischi di un pensiero monologico e positivo, troppo condizionato dalla concezione lineare del tempo e dalla ricerca ossessiva dello stile, incapace di cogliere il grande salto compiuto negli anni ottanta da artisti come Salvo, Ontani, Milan Kunc, Jan Knap, Peter Angerman, Helgi Fridjonsson, Lorenzo Bonechi; artisti sostanzialmente fraintesi, superficialmente inquadrati nel clima dell'arte postmoderna. Al contrario – precisa Vitale – questi artisti si sono impegnati (consciamente o inconsciamente) a recuperare la struttura ontologica dell'opera, a perseguire le tensioni ritmiche del quadro, i rapporti di energie, il forte splendore unitario dell'immagine, che nel medioevo era chiamata Claritas. In sostanza, quella forza trascendente della visione che ritroviamo ad ogni rinascere ciclico dell'arte.